martedì 31 ottobre 2017

43

43
(ovvero l’incontro tra il Simone di oggi e quello di 25 anni fa)

   Sono molto pudico, ma oggi non importa, mi spoglio davanti a tutti; che poi, essendo un post più lungo di cinque righe, le mie nudità le osserveranno solo pochissimi spiriti affini.
   Ebbene sì, amici miei, tra qualche giorno compio 43 anni, a meno che la Morte non mi agguanti poco prima del traguardo. Da non crederci, vero? Vivo sulla Terra da circa 15.700 giorni. Quando è uscito il risultato sullo schermo della calcolatrice (ché in matematica sono una pippa) ho esclamato: “Beh, neanche tanti!” Invece per un essere mortale comincia ad essere un numero importante. Sarà difficile raddoppiarlo, vivere altrettanto tempo; da questa prospettiva mi vengono in mente le parole del cantante Alessandro Bono, che all’epoca sentiva già la Morte battergli sulla spalla: “Ogni giorno che va via è un quadro che appendo.”
   Quanti di quei 15.700 giorni sono stati memorabili? Calcolo improbo. E poi mi sembra una domanda stupida, come se i giorni brutti o mediocri fossero da scartare. Ogni giorno è degno di essere vissuto e apprezzato, pur sapendo che i giorni da incorniciare veramente (i quadri da appendere…) non sono stati e non saranno tantissimi.
   Dopo questo noioso preambolo, faccio un tuffo nel passato. Torno indietro nel tempo di 25 anni. Quando avevo 18 anni, appena maggiorenne, come mi immaginavo a 43?
   Appare proprio il giovane Simone a rispondere: “Con un lavoro” esordisce, “magari dopo aver fatto una buona carriera calcistica, una moglie, dei figli, una casa, due macchine, persino un cane, due gatti e tre pesciolini rossi.”
   Senti come ride il diciottenne di allora mentre dice questo in faccia al quarantatreenne di adesso, uno che campa ancora di pane, birra e fantasia. Aspetto che smetta e che mi passi l’iniziale irritazione, poi gli dico a muso duro: “Guarda che questo quarantatreenne sei tu, coglione!”
   Si fa serio. “Vuoi sapere com’è andata?” gli dico. Annuisce silenzioso, realizzando che IO sono LUI…
   Avevo talento come calciatore e anche tanta passione. Volevo diventare professionista, fare una carriera più brillante di quella di papà che aveva giocato alcuni anni in serie A. Volevo renderlo orgoglioso di suo figlio. Ah ah ah, scusa se rido io adesso, oh mio ingenuo diciottenne, ma ora che vedo bene il film della mia vita ti posso garantire che non avevo – non avevi! – nessuna possibilità di farcela. Ero un fragile fiore senza radici, un immaturo di una sensibilità e una timidezza imbarazzanti. Come potevo anche solo pensare di farmi strada in un mondo di squali come quello del calcio e nel mondo in generale?
   Il mio carattere era d’ostacolo pesino ai rapporti interpersonali e sentimentali. Ricordo quasi come una tragedia  il periodo dell’adolescenza e gli anni successivi. Ho fatto grandi cazzate, avendo la fortuna di non commetterne di irrimediabili. Ho rischiato l’autodistruzione. Gente molto meno fragile di me si è suicidata nelle mie condizioni, caro giovane Simone. Ho attraversato il fiume delle droghe e dell’alcol, per fortuna senza farmi spazzar via dalla corrente. A volte ancora mi chiedo come sono sopravvissuto, eppure sono qui a raccontartelo.
   Cosa mi ha salvato? Non certo Dio, che non esiste. Se proprio vogliamo tirare in ballo un’”entità superiore”, ti dirò che quel Dio si chiama Anima, nello specifico la Mia Anima, la quale, insieme alla fantasia, mi ha tirato fuori dalle sabbie mobili che mi stavano inghiottendo.
   Hai capito perché sono ancora vivo, caro diciottenne? Perché avevo delle passioni e non ho permesso ai miei sogni di naufragare insieme alla mia carriera calcistica. Perché ho continuato a giocare a calcio – con immutato piacere – in categorie minori, perché ho scoperto le inimmaginabili proprietà terapeutiche della scrittura, perché ho sfogato la creatività disegnando fumetti e vignette, perché ho letto tanto, studiato, meditato, riflettuto. Ho spezzato le catene che società, religione, scuola, educazione fallace, eccetera mi avevano legato al cervello fin dalla nascita.
   Dopo i trent’anni ho cominciato a intuire qual era la mia vera strada, quella che mi indicava da sempre la flebile voce di un’anima sepolta sotto quintali di letame. Nel frattempo scrivere e pubblicare libri era diventato quasi come respirare, e a 33 anni ho scoperto un’altra passione vitale: allenare bimbi. Da dieci anni anche questa è diventata benzina per il mio spirito.
   E adesso, caro Simone di 18 anni, vieni tu nel presente. Vieni, vieni. Guardami bene, guarda quest’uomo di 43 anni. Come mi vedi? Ti viene ancora da ridere? Ti sembro forse un vecchio fallito? Fregancazzo, sai?! Mi importa solo che i miei genitori, i miei cari più intimi e coloro che amo e mi amano, mi stimino per quello che faccio, che sono e che sto diventando.
   Da qualche tempo, come se un fulmine mi avesse colpito spalancando le porte della coscienza, sento nitidamente la voce della mia anima e vedo persino l’aura dell’anima di chi ho vicino. Questa è una mezza condanna perché certi “poteri” ti isolano facendoti sentire estremamente solo, oltre a farti percepire da altri come un matto. Ho sempre convissuto con la solitudine, ma ora sta raggiungendo picchi irreversibili, soprattutto quando sono in mezzo alla gente: non riesco più a parlare la loro lingua e le loro parole mi annoiano enormemente.
   Eeeh caro giovane, vedi dunque chi sei diventato? Ti fa schifo? So bene che avresti una grandissima voglia di “normalità”, purtroppo però ti è preclusa dal tuo ESSERE. Fattene una ragione. In questi anni il mio ESSERE mi ha portato via amicizie (ci pensa sempre LUI a scremare naturalmente), amori, persino un figlio, che era – e rimane – il più grande sogno della mia vita. Ma vado avanti. Cos’altro posso fare?
   A 43 anni, mio bel Simone di 18, mi sento libero, vitale, ho raggiunto alcuni obiettivi e ho ancora tanti sogni. Ti garantisco che è una ricchezza che vale più di tutto l’oro del mondo. Guarda i miei coetanei, anche quelli più giovani: ti sembrano sopravvissuti ai loro anni? La maggior parte sono morti da tempo e nemmeno se ne accorgono nel loro vegetare quotidiano.

   Ora vado a scrivere, anche e soprattutto per le anime sopite. Sembra l’impresa di un povero pazzo, ma lo faccio con passione e la passione è vita. E adesso, oh mio mai rimpianto diciottenne, puoi ricominciare a ridere se vuoi.  Fai almeno tesoro di queste parole.