43
(ovvero l’incontro
tra il Simone di oggi e quello di 25 anni fa)
Sono molto pudico, ma oggi non importa, mi spoglio davanti a tutti; che
poi, essendo un post più lungo di cinque righe, le mie nudità le osserveranno solo
pochissimi spiriti affini.
Ebbene sì, amici miei, tra qualche giorno compio 43 anni, a meno che la
Morte non mi agguanti poco prima del traguardo. Da non crederci, vero? Vivo
sulla Terra da circa 15.700 giorni. Quando è uscito il risultato sullo schermo
della calcolatrice (ché in matematica sono una pippa) ho esclamato: “Beh,
neanche tanti!” Invece per un essere mortale comincia ad essere un numero importante.
Sarà difficile raddoppiarlo, vivere altrettanto tempo; da questa prospettiva mi
vengono in mente le parole del cantante Alessandro Bono, che all’epoca sentiva
già la Morte battergli sulla spalla: “Ogni giorno che va via è un quadro che
appendo.”
Quanti di quei 15.700 giorni sono stati memorabili? Calcolo improbo. E
poi mi sembra una domanda stupida, come se i giorni brutti o mediocri fossero
da scartare. Ogni giorno è degno di essere vissuto e apprezzato, pur sapendo
che i giorni da incorniciare veramente (i quadri da appendere…) non sono stati
e non saranno tantissimi.
Dopo questo noioso preambolo, faccio un tuffo nel passato. Torno
indietro nel tempo di 25 anni. Quando avevo 18 anni, appena maggiorenne, come
mi immaginavo a 43?
Appare proprio il giovane Simone a rispondere: “Con un lavoro”
esordisce, “magari dopo aver fatto una buona carriera calcistica, una moglie,
dei figli, una casa, due macchine, persino un cane, due gatti e tre pesciolini
rossi.”
Senti come ride il diciottenne di allora mentre dice questo in faccia al
quarantatreenne di adesso, uno che campa ancora di pane, birra e fantasia.
Aspetto che smetta e che mi passi l’iniziale irritazione, poi gli dico a muso
duro: “Guarda che questo quarantatreenne sei tu, coglione!”
Si fa serio. “Vuoi sapere com’è andata?” gli dico. Annuisce silenzioso,
realizzando che IO sono LUI…
Avevo talento come calciatore e anche tanta passione. Volevo diventare
professionista, fare una carriera più brillante di quella di papà che aveva
giocato alcuni anni in serie A. Volevo renderlo orgoglioso di suo figlio. Ah ah
ah, scusa se rido io adesso, oh mio ingenuo diciottenne, ma ora che vedo bene
il film della mia vita ti posso garantire che non avevo – non avevi! – nessuna
possibilità di farcela. Ero un fragile fiore senza radici, un immaturo di una
sensibilità e una timidezza imbarazzanti. Come potevo anche solo pensare di
farmi strada in un mondo di squali come quello del calcio e nel mondo in
generale?
Il mio carattere era d’ostacolo pesino ai rapporti interpersonali e
sentimentali. Ricordo quasi come una tragedia
il periodo dell’adolescenza e gli anni successivi. Ho fatto grandi
cazzate, avendo la fortuna di non commetterne di irrimediabili. Ho rischiato
l’autodistruzione. Gente molto meno fragile di me si è suicidata nelle mie
condizioni, caro giovane Simone. Ho attraversato il fiume delle droghe e
dell’alcol, per fortuna senza farmi spazzar via dalla corrente. A volte ancora
mi chiedo come sono sopravvissuto, eppure sono qui a raccontartelo.
Cosa mi ha salvato? Non certo Dio, che non esiste. Se proprio vogliamo
tirare in ballo un’”entità superiore”, ti dirò che quel Dio si chiama Anima,
nello specifico la Mia Anima, la quale, insieme alla fantasia, mi ha tirato
fuori dalle sabbie mobili che mi stavano inghiottendo.
Hai capito perché sono ancora vivo, caro diciottenne? Perché avevo delle
passioni e non ho permesso ai miei sogni di naufragare insieme alla mia
carriera calcistica. Perché ho continuato a giocare a calcio – con immutato
piacere – in categorie minori, perché ho scoperto le inimmaginabili proprietà
terapeutiche della scrittura, perché ho sfogato la creatività disegnando
fumetti e vignette, perché ho letto tanto, studiato, meditato, riflettuto. Ho
spezzato le catene che società, religione, scuola, educazione fallace, eccetera
mi avevano legato al cervello fin dalla nascita.
Dopo i trent’anni ho cominciato a intuire qual era la mia vera strada,
quella che mi indicava da sempre la flebile voce di un’anima sepolta sotto
quintali di letame. Nel frattempo scrivere e pubblicare libri era diventato
quasi come respirare, e a 33 anni ho scoperto un’altra passione vitale:
allenare bimbi. Da dieci anni anche questa è diventata benzina per il mio
spirito.
E adesso, caro Simone di 18 anni, vieni tu nel presente. Vieni, vieni.
Guardami bene, guarda quest’uomo di 43 anni. Come mi vedi? Ti viene ancora da
ridere? Ti sembro forse un vecchio fallito? Fregancazzo, sai?! Mi importa solo
che i miei genitori, i miei cari più intimi e coloro che amo e mi amano, mi
stimino per quello che faccio, che sono e che sto diventando.
Da qualche tempo, come se un fulmine mi avesse colpito spalancando le
porte della coscienza, sento nitidamente la voce della mia anima e vedo persino
l’aura dell’anima di chi ho vicino. Questa è una mezza condanna perché certi
“poteri” ti isolano facendoti sentire estremamente solo, oltre a farti
percepire da altri come un matto. Ho sempre convissuto con la solitudine, ma
ora sta raggiungendo picchi irreversibili, soprattutto quando sono in mezzo
alla gente: non riesco più a parlare la loro lingua e le loro parole mi
annoiano enormemente.
Eeeh caro giovane, vedi dunque chi sei diventato? Ti fa schifo? So bene
che avresti una grandissima voglia di “normalità”, purtroppo però ti è preclusa
dal tuo ESSERE. Fattene una ragione. In questi anni il mio ESSERE mi ha portato
via amicizie (ci pensa sempre LUI a scremare naturalmente), amori, persino un
figlio, che era – e rimane – il più grande sogno della mia vita. Ma vado
avanti. Cos’altro posso fare?
A 43 anni, mio bel Simone di 18, mi sento libero, vitale, ho raggiunto
alcuni obiettivi e ho ancora tanti sogni. Ti garantisco che è una ricchezza che
vale più di tutto l’oro del mondo. Guarda i miei coetanei, anche quelli più
giovani: ti sembrano sopravvissuti ai loro anni? La maggior parte sono morti da
tempo e nemmeno se ne accorgono nel loro vegetare quotidiano.
Ora vado a scrivere, anche e soprattutto per le anime sopite. Sembra
l’impresa di un povero pazzo, ma lo faccio con passione e la passione è vita. E
adesso, oh mio mai rimpianto diciottenne, puoi ricominciare a ridere se
vuoi. Fai almeno tesoro di queste parole.